Altra giornata sabbatica (Monte Galbiga)

Magnifica giornata in moto! Poco trekking a piedi e molto in moto. Nel giro di 2 ore e mezza mi sono ritrovato in un luogo fuori dall’immaginario di chi vive nel… nella “realtà virtuale” della città, nel “matrix” della routine quotidiana.

La strada finiva lì, il rifugio era chiuso, delle persone gironzolavano in zona ma si notava facilmente che anche loro erano dei “cercatori di silenzio”, lupi solitari.
Quelli si riconoscono subito:
– sono soli oppure al massimo in 2 e ,anche in quest’ultimo caso, parlano tra loro a voce bassa. O non parlano affatto, come delle coppie che hanno litigato, ma invece non sono mai stati così bene.
– anche se arrivi da solo in quel posto semideserto e ti fai un tè col fornelletto da campeggio stando seduto a terra, ti guardano solo per un attimo e basta. Non ti fissano come farebbero con un fenomeno da baraccone, non ti fanno sentire bizzarro.
– discretamente si mantengono a distanza, non per snobbismo ma per rispetto della solitudine loro e degli altri. Qualche volta attaccano bottone, ma non ti si incollano alle palle come la vicina di casa che vuol fare un commento/monologo circa l’ultima riunione condominiale; anzi è una cosa piacevole, si scusano del disturbo, poi gentilmente ti restituiscono la pace che -ben sapevano- eri venuto fin lì nella speranza di gustare.

Lì nelle vicinanze ci sono 2 piccole vette: una che probabilmente non ha nemmeno un nome (oppure non è particolarmente noto) e poi il Galbiga, entrambe poco impegnative, roba da 30 minuti prendendosela molto comoda (io ,che sono agile come una tartaruga, c’ho messo meno).

La prima ,modestissima e ignorata dagli escursionisti, m’ha permesso di ascoltare il vento e sentirmi un piccolo Reinold Messner della Val d’Intelvi 🙂 ma arrivare alla seconda è stata una magnifica sensazione: non sono riuscito a trattenere le mie braccia dall’alzarsi e il mio busto dall’emettere uno strano ghigno proveniente dallo stomaco, una specie di contrazione iniziata dalle budella e sfogata sul volto: la testa s’è alzata verso il cielo blu, poi gli occhi si sono chiusi e i muscoli facciali hanno formato un sorriso a bocca aperta che ha lasciato uscire quello strano verso di soddisfazione e gioia.
Dio era lì. Non ci credo, ma era lì. Ora capisco perchè spesso mettono delle croci sulle vette! Prima pensavo fosse il solito rito paolotto, una “bandiera di conquista” piantata dalla chiesa per mezzo dei tipici frequentatori della montagna (i pensionati).
Ora invece la vedo sotto un’altra luce. Ed è bella quando la si vede lì, alta e possente, come la famosa statua del “Cristo Redentor” che veglia sopra Rio de Janeiro.

A fine giornata mi sono ricongiunto alla mia ConSorte tornata nel frattempo dal lavoro e abbiamo passato una piacevole serata in compagnìa.
Poi tutto è scivolato ,senza curanza, nell’enorme archivio chiamato “passato”…