Ma dove vado….?

Ne ho un po’ piene le palle.
Ogni tanto avrei voglia di lasciar perdere. Ma poi mi rendo conto che anche questo weekend lo passerò in casa come mia nonna di 90 anni.
In un rapporto angosciante, senza rispetto, senza dignità. A sognare un futuro che non arriverà mai. A guardare dalla finestra un mondo che è bello solo per gli altri, per me no.

Ma dove vado?
Col budget a disposizione voglio un bilocale non deprimente, con possibilità di tenere la bici e magari un po’ di vista aperta (un balcone, uno spiazzo).
Ma dove vado? Ma dove vado?!
Questa domanda mi infastidisce.
Quando me la fanno gli altri mi provoca una sensazione interiore fortissima che è un misto tra un’offesa, un’angoscia e uno stupore per il fatto stesso che si siano permessi di farmela: “ma dove vaaaiii????“. Come dire “ma cosa credi di essere capace di fare tu ,bambino illuso, pappamolle, che da solo non sapresti farti manco le pippe?“.
Quando invece me la faccio io stesso mi fa arrabbiare perchè sento che qualcosa me lo impedisce: “ma dove vado…?“.
Mi pare di sentire il destino mi sussurra nell’orecchio ,come i Bravi a don Abbondio, “Non s’ha da fare, né domani, né mai“.
Perchè il mio destino è sempre posizionato ai lati della mia strada con aria minacciosa, porta la spada, gioca a fare sbirro buono e sbirro cattivo, è pilotato in modo subdolo e mafioso da don Rodrigo e ,ancor più sù, dall’Innominato che non si espone mai direttamente, ma soprattutto vuole darmi solo ordini senza alcuna spiegazione?
O forse sono le mie paure?

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-[…] non s’ha da fare, né domani, né mai.
– ma, signori miei, si degnino di mettersi ne’ miei panni […]
– Orsù, – interruppe il bravo, – se la cosa avesse a decidersi a ciarle, lei ci metterebbe in sacco. Noi non ne sappiamo, né vogliam saperne di più. Uomo avvertito… lei c’intende.
– Ma lor signori son troppo giusti, troppo ragionevoli…
– Ma, – interruppe questa volta l’altro compagnone, che non aveva parlato fin allora, – ma il matrimonio non si farà, o…
– e qui una buona bestemmia,
o chi lo farà non se ne pentirà, perché non ne avrà tempo, e…
– un’altra bestemmia.
Zitto, zitto, – riprese il primo oratore: – il signor curato è un uomo che sa il viver del mondo; e noi siam galantuomini, che non vogliam fargli del male, purché abbia giudizio. Signor curato, l’illustrissimo signor don Rodrigo nostro padrone la riverisce caramente.
Questo nome fu, nella mente di don Abbondio, come, nel forte d’un temporale notturno, un lampo che illumina momentaneamente e in confuso gli oggetti, e accresce il terrore. Fece, come per istinto, un grand’inchino, e disse: – se mi sapessero suggerire
Oh! suggerire a lei che sa di latino! – interruppe ancora il bravo, con un riso tra lo sguaiato e il feroce.
A lei tocca. E sopra tutto, non si lasci uscir parola su questo avviso che le abbiam dato per suo bene;[…
]

[…]Don Abbondio, che, pochi momenti prima, avrebbe dato un occhio per iscansarli, allora avrebbe voluto prolungar la conversazione e le trattative.
– Signori – cominciò, chiudendo il libro con le due mani; ma quelli, senza più dargli udienza, presero la strada dond’era lui venuto, e s’allontanarono, cantando una canzonaccia che non voglio trascrivere. Il povero don Abbondio rimase un momento a bocca aperta, come incantato; poi prese quella delle due stradette che conduceva a casa sua, mettendo innanzi a stento una gamba dopo l’altra, che parevano aggranchiate.
Come stesse di dentro, s’intenderà meglio, quando avrem detto qualche cosa del suo naturale, e de’ tempi in cui gli era toccato di vivere.